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capodanno a new york 2012 foto cecilia polidori

capodanno a new york 2012 foto cecilia polidori
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"Si continua ad abbandonare qualcosa. Si continua a dire addio. Il problema, forse, è cercare d'inventare nuove perfezioni, pensare che ogni momento è una perfezione che comunque si può perfezionare..."

Ettore SOTTSASS, Scritto di notte, maggio 2010

"Si procede per tentativi, valutando empiricamente le diverse soluzioni possibili..."

Enzo MARI, 25 modi per piantare un chiodo, marzo 2011

la foto di fondo è un autoritratto dell'Autrice all'esterno di The Cloud Gate, AT&T Plaza, Millenium Park, S Michigan Ave, Chicago, Illinois, comunemente chiamato The Bean, il Fagiolo,agosto 2011

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giovedì 1 dicembre 2011

attenzione

ATTENZIONE
Ho pubblicato l’aggiornamento di oggi, giovedì 24 XI
Molti post non li ho oscurati: non contengono gravi errori, ma non vanno bene, non sono completi, non corretti nei corsivi, nei links, nei contenuti, o non rispettano tutte le chiavi della sezione aurea, oppure ve li ho corretti e ricorretti, ma vi limitate a eliminare qualche riga, ad aggiungere un disegno raccattato da internet.
Anche ad avere 86 ore al giorno è impossibile star dietro alla cocciutaggine e graniticità, peccato! Perché lo strumento che Vi offro è stupendo.
E sì, sarà anche lento o in qualche caso farraginoso, ma che dovrei dire io, che ve li correggo, rimpagino, sistemo tutti, con gli aggiornamenti, i pdf, etc etc?
Nessuno, nonostante Vi abbia scritto e detto e ridetto e riscritto, prende in mano una matita: grandi archietti, enjoy!
Quindi non essere oscurati o rimossi – per ora – non significa granché.
I post che vanno bene sono in elenco.
Vi ho già detto di non utilizzare la mia posta elettronica invece ci sono molti che insistono
Se mi si chiedono riassunti via E-mail di quanto detto, spiegato e poi pubblicato addirittura sui tre siti ad uso didattico (il sito d'ateneo ed i miei 2): si viene rimossi, etc etc
Addirittura x avere lumi sulla loro rimozione!!
QUINDI CHIUNQUE MI SCRIVE VERRÀ RIMOSSO, perché prima di tutto non rispetta le regole di scrivermi sul post pubblicato.
E piantatela anche con queste dichiarazioni, tutte a parole, di quanto Vi piaccia il design ed io, che si vede eccome! Passate ai fatti, in questo caso al rispetto della mia posta elettronica.
E controllate le immagini, molti post hanno le stesse, e prima o poi, questo avrà i suoi effetti, ovviamente.
Leggetevi le regole: non mi pare che le osserviate, tipo: Se si insiste a pubblicare non tenendo conto delle mie correzioni e nonostante io abbia oscurato e corretto il post: si viene rimossi. etc etc
I post con correzioni ed evidenziazioni e che ho lasciato in chiaro valgono per tutti, ovviamente ma non pare che ne prendiate atto.
CP

martedì 29 novembre 2011

E. Mari e il Portacenere Borneo

"[...] Nel 1966 fumo due pacchetti di sigarette al giorno e decido di progettare un portacenere perfetto e definitivo. Deve contenere comodamente quaranta mozziconi, essere stabile, afferrabile con una sola mano, facilmente lavabile, possedere un bordo idoneo all'appoggio della sigaretta e un'area che ne facilita lo spegnimento. Tra i primi schizzi e le fasi intermedie di progettazione passa un anno, durante il quale continuo a chiedermi che senso abbia realizzare uno strumento perfetto per un vizio. Il giorno in cui ricevo il primo esemplare del Borneo, smetto di colpo di fumare. [...]"  da Enzo MARI, 25 modi per piantare un chiodo, ediz. Mondadori, Milano, marzo 2011, 1° ediz., pg.57
portacenere Borneo, produz. Danese, 1966

vassoio Putrella

Mari spiega che alla base della sua progettazione c’è il desiderio di proporre delle forme indipendenti dalla moda, destinate a durare, facili da realizzare tecnicamente, e che portino con sé, quando è possibile, un po’ del fascino degli oggetti e degli ambienti industriali, come accade esemplarmente nel vassoio Putrella, fatto appunto con una putrella piegata ai bordi, che porta il cantiere nel salotto. Altri tempi, verrebbe da dire, visto che negli ultimi anni il fascino degli ambienti industriali si è molto appannato. Ma non la potenza estetica spontanea che hanno gli oggetti, e che il design di Mari cerca di portare in luce. 


Nel caso di Mari assistiamo a una ricerca che ha lo scopo di produrre un buon oggetto, attività
per la quale, diversamente che nel caso dell’arte, non basta l’assenso di un critico e di un gallerista. Bisogna fare i conti con esigenze di funzionalità, di riproducibilità tecnica, di realizzabilità industriale.

retro del Portacenere Borneo - E. Munari
Bibliografia Testo: 
Enzo MARI, 25 modi per piantare un chiodo, ediz. Mondadori, Milano, marzo 2011, 1° ediz., pg.57 , 
La Repubblica-Cultura, Etica ed estetica del prodotto industriale: esce l’autobiografia del più grande creatore di oggetti -Domenica 3 Aprile 2011, pg.44
http://www.awn.it/AWN/Engine/RAServeFile.php/f/Rassegna_Stampa/rep030411a.pdf
immagini:
http://www.lieucommun.fr/2010/11/promotions-sur-le-eshop/
http://s1203.photobucket.com/albums/bb394/clash78/?action=view&current=105.jpg
http://duendepressrelations.wordpress.com/2010/01/11/che-fare-text-by-enzo-mari-and-gabriele-pezzini/

Enzo Mari,zuccheriera Java, produz. Danese



Dopo studi all’Accademia di Brera ed un primo periodo in cui è l’arte al centro dei suoi interessi con indagini di psicologia della visione sul rapporto tra spazio, forma e ambiente, Enzo Mari approda alla Rinascente, dove si occupa dell’allestimento delle vetrine e disegna oggettistica da regalo. Nel 1958  Munari parla di lui a Bruno Danese e l’incontro è subito felice. Da allora Mari progetterà per la Danese circa 100 prodotti. Come avrà modo di annotare recentemente lo stesso Mari sul suo rapporto con Bruno Danese, lui che non è certo mai stato prodigo di complimenti sul mondo del design: “tra di noi non esiste alcun patto scritto oltre a quello inerente ai diritti d’autore sui modelli realizzati, ma di fatto sono il consigliere, l’art director, il grafico, l’allestitore, il redattore... Nei quarant’anni successivi non ho più incontrato un imprenditore di tale intensa qualità”. Dal canto suo, Danese ricordando il complesso rapporto che lo ha legato a Mari e le discussioni di progetto che potevano durare ininterrottamente dalle 9 di mattina alle 2 di notte, durante le quali Mari vivisezionava ogni aspetto del prodotto fino alle sue più sottili conseguenze di mercato, lo riconoscerà come: “un grandissimo creativo con un carattere davvero complesso ma che ha dato alla Danese oggetti e prodotti fondamentali per più di una generazione”.


«Mentre gli altri componenti della zuccheriera li avrebbe stampati una macchina, quel piccolo perno sarebbe stato inserito a mano da un operaio… Disegnare quel perno significava costringere loperaio a ripetere lo stesso gesto, ossessivamente, mille volte al giorno… Cerco un’alternativa possibile e la trovo, progettando una nuova cerniera, con tanto di brevetto d’invenzione di primo livello».

da Enzo MARI, 25 modi per piantare un chiodo, ediz. Mondadori, Milano, marzo 2011, 1° ediz., pg.57-58

1969 - 1970
Anche qualcosa di semplice come un contenitore per lo zucchero può essere una sfida importante per un designer. La zuccheriera Java, realizzata in melammina bianca, costituita da un cilindro basso con un lato angolare. La funzionalità dell’oggetto si risolve attorno al fulcro “cerniera-maniglia”. Questo assommarsi di funzioni ha reso piu economico l’oggetto, mediante l’eliminazione di passaggi costruttivi. Il coperchio funziona ad incastro e viene aperto con un solo gesto di     pollice e indice. Alla prima versione in pvc segue quella definitiva in melammina.




Link di riferimento testo :




E.M. Max BILL


“Chiamiamo queste opere “ arte concreta” poiché non ci sono apporti esterni, dei fenomeni normali senza alcuna trasformazione”. Max Bill
Pittore, architetto, scultore, Max Bill é nato nel 1908 a Winterthur (Svizzera). Dal 1924 al 1927 è allievo alla Scuola dei Mestieri d’Arte di Zurigo (Kunstgewerbeschule) . E’ allievo del Bauhaus a Dessau, frequenta gli atelier del metallo, di teatro, di pittura e di architettura, ne ricava una grande conoscenza dei materiali, la convinzione della necessità logica di una sintesi delle arti che si articoli intorno all’architettura, poiché le arti hanno come funzione quella di aiutare a costruire uno spazio appropriato alla vita dell’uomo ed alla sua armonia.
"Ritmo orizzontale-verticale-diagonale", 1942
"Limited and unlimited", 1947
"La pittura e la scultura sono senza equivoci, la loro utilità risiede nella loro utilità intellettuale e spirituale." Max Bill
Negli anni ’40 fonda la rivista “Abstrakt-Konkret” e tiene dei corsi a Zurigo, poi a Darmstadt. Concepisce e realizza gli edifici dell’”Università de la Forme” (Hochschule fûr Gestaltung) ad Ulm, ne sarà prima uno dei direttori, poi rettore. Max Bill fonda la sua arte sulla linea dritta e sull’assemblaggio di piani geometrici in proporzioni strettamente calcolate. La poliedricità e la forza del pensiero teorico ne fecero il leader carismatico del concretismo internazionale, influenzando il pensiero dei movimenti artistici della metà del Novecento, tra cui l'italiano MAC, Movimento di Arte Concreta".Il nucleo di questa sua poliedricità si forma con la conoscenza delle opere costruttiviste e la frequentazione con grandi maestri quali Paul Klee, Wassily Kandinsky e Josef Albers. All'attività artistica Max Bill affiancò il pensiero teorico, l'impegno politico e divulgativo e l'insegnamento: fu, lo ricordiamo, co-fondatore della Hochschule für Gestaltung a Ulm e membro di diversi gruppi e associazioni di artisti, architetti e designer a livello europeo.La sua produzione, sottolineano i critici d'arte, è coerente in tutte le sue forme con i principi dell'Arte Concreta, definita dalle sue stesse parole come "l'espressione pura della misura e della legge armonica".
"Quella di Max Bill è una ricerca dove domina la personale immaginazione dell'artista e che, nel perseguimento dei principi essenziali della creazione, lo avvicina al metodo matematico; le sue opere sono caratterizzate dalle forme geometriche pure ed essenziali e dalla ricerca sul colore". T.Buchsteiner e O. Letze
Nel campo dell’architettura le sue produzioni sono legate soprattutto ai suoi atelier e residenze privati, tra cui la sua casa-atelier a Zumikon, vicino a Zurigo, abitata oggi dalla seconda moglie del’artista. La sua opera più celebre è il complesso di edifici l’HfG di Ulm, che sembra in parte ricalcare un progetto di Hannes Meyer a Bernau, la scuola della Confederazione Tedesca dei Sindacati operai. A Losanna, realizza un teatro, inizialmente concepito come temporaneo, e successivamente mai smontato. Con numerose modificazioni il teatro si trova ancora oggi in uno stupendo parco sulle rive del Lago di Ginevra. wall clock, 1957
lampada novelectric, 1951
orologio Junghans, 1962
macchina per scrivere Patria, 1950
"Max Bill per me è stato entrambe le cose: homo ludens e homo faber, aveva una leggerezza che creava forme e strutture dall'entropia del processo creativo. La creatività era collegata alla speranza.
Fino alla vecchiaia fu instancabilmente curioso e dotato di forza giovanile". J. Estermann Nel campo del design, il celebre sgabello di Ulm (che può essere usato sia come seduta che come simpatico porta libri, in sostituzione di una borsa o di uno zaino) progettato assieme ad Hans Gugelot, è l’opera più conosciuta, ma si cimenta anche nella realizzazione di orologi, una macchina da scrivere, maniglie e altri oggetti diventati dei classici della storia del design. La sua produzione è coerente in tutte le sue forme con i principi dell'Arte Concreta, definita dalle sue stesse parole come "l'espressione pura della misura e della legge armonica". Una ricerca dove domina la personale immaginazione dell'artista e che, nel perseguimento dei principi essenziali della creazione, lo avvicina al metodo matematico; le sue opere, tanto in pittura quanto in scultura e design, sono caratterizzate dalle forme geometriche pure ed essenziali e dalla ricerca sul colore.
horgen glarus (In compensato curvato con braccioli,seduta originale in vipla rigata) , 1949_1951

ulmer hocker, 1954
tavolo e sedie tre piedi, 1949
Riferimenti sitografici per testo ed immagini :

Bruno Munari, libri per bambini: Libri Illeggibili e Prelibri

Libri Illeggibili
"Conservare dentro di sé l’ infanzia per tutta la vita, vuol dire conservare la curiosità di conoscere, il piacere di capire, la voglia di comunicare
Bruno Munari
Questa frase, che Bruno Munari ha voluto all’inizio della sua mostra antologica a Milano nel 1986, sintetizza la sua filosofia di vita che tanto lo avvicina a quella del designer Enzo Mari.
Fin da ragazzo - racconta Munari - sono stato uno sperimentatore..., curioso di vedere cosa si poteva fare con una cosa, oltre a quello che si fa normalmente”. “Durante l’infanzia – scrive l’artista – siamo in quello stato che gli orientali definiscono Zen: la conoscenza della realtà che ci circonda avviene istintivamente mediante quelle attività che gli adulti chiamano gioco. Tutti i ricettori sensoriali sono aperti per ricevere dati: guardare, toccare, sentire i sapori, il caldo, il freddo, il peso e la leggerezza, il morbido e il duro, il ruvido e il liscio, i colori, le forme, le distanze, la luce, il buio, il suono e il silenzio … tutto è nuovo, tutto è da imparare e il gioco favorisce la memorizzazione”.
Bruno Munari
"Libro Illeggibile MN 1", Bruno Munari, Corraini, Mantova, 1991
Come B. Munari anche E. Mari attribuisce al gioco un ruolo decisivo nello sviluppo dell’ intelligenza di ogni bambino, dedicando all’età dell’infanzia buona parte della sua ricerca. Nel tentativo di sperimentare nuove forme del linguaggio visivo e del materiale editoriale, B. Munari nel 1949 progetta la sua serie di “Libri Illeggibili”, dove il libro viene concepito come oggetto, indipendentemente dalle parole stampate. Sono definiti illeggibili, perché privi di testo, l’ attenzione dell’autore, infatti, è rivolta esclusivamente a quegli elementi che normalmente vengono trascurati: tipologia di carta, rilegatura, colori, spazi bianchi, margini e formati.
Ecco dunque che le sue nuove opere si compongono armonicamente di pagine con tagli e formati diversi che si incrociano per comporne altri, carte semitrasparenti, veline, paraffinate, plastificate, vegetali, sintetiche, si alternano per offrire la più completa esperienza tattile. Nei “libri illeggibili” non c’è ordine neppure sequenza, possono essere “letti” a partire da metà, si può liberamente tornare indietro o andare avanti.Una vera e propria rivoluzione che riconsidera l’importanza della percezione del libro e che oltre a divertire, stimola ad essere creativi. Le uniche scritte compaiono sulla copertina grigio chiaro: Libro illeggibile MN 1 di Bruno Munari Edito da Maurizio Corraini – Mantova; è stato pubblicato nel 1991, è di formato quadrato con i lati che misurano 10 centimetri. Le 32 pagine sono colorate ‐ arancio, giallo, verde, azzurro ‐ di dimensioni differenti e sembrano legate in modo del tutto casuale da una sottile cordicella.
I Prelibri
Proprio da questi esperimenti di comunicazione nasce una collezione rivolta ai bambini, che veicola le prime esperienze sensoriali e l’apprendere attraverso libretti dalle mille sorprese. Come afferma Bruno Munari : “La cultura è fatta di sorprese, cioè di quello che prima non si sapeva, e bisogna essere pronti a riceverle …” per questo la serie dei così detti “prelibri”, prodotta da Danese nel 1980 a Milano, si carica di diverse informazioni (di carattere naturale, geometrico, dinamico ecc.) espresse in forme libere che stimolano l’individuo a immaginare e fantasticare. Munari ha stabilito una via alternativa alla formazione dei bambini ed al pari del collega Enzo Mari, ha posto le linee guida di un metodo progettuale efficace tuttora, facendo della semplicità che desta stupore il suo cavallo di battaglia. Ancora dopo cento anni, il lavoro di Munari continua infatti ad essere inesauribile fonte di ispirazione per i designer di oggi, e la sua incredibile produzione di libri-gioco uno strumento insostituibile per l’apprendimento dei più piccoli. Dodici piccoli libri di carta, di cartoncino, di cartone, di legno, di panno, di panno spugna, di friselina, di plastica trasparente; ognuno rilegato in maniera diversa. Dal retro di copertina dei Prelibri, la migliore descrizione che possa essere data di questo incredibile strumento-libro-gioco. Ogni libro una sorpresa, un colore, una forma, un materiale, ma soprattutto, neanche una parola. Poesia per gli occhi e per le dita.Creati da Bruno Munari ed editi per la prima volta nel 1980, i Prelibri sono dodici libretti, raccolti all’interno di un contenitore-scrigno, realizzati interamente a mano e perciò unici pur nella loro serialità. Ognuno è realizzato utilizzando un materiale diverso e hanno legature diverse, alcuni presentano fustelle, altri applicazioni di elementi curiosi, altri ancora sono solo forme e colori. Ogni libro è double-face, ed estraendolo dalla sua taschina nello scrigno non si sa mai cosa ci si possa trovare dentro. I Prelibri sono un oggetto prezioso, come se ne trovano sempre più raramente, progettato come stimolo per la curiosità e la manualità dei bambini, ma anche di noi adulti che non vogliamo smettere di stupirci.
In ordine progressivo i libri 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12.
Il Libro 1 è un libro di cartone pesante, rilegato con dello spago. Aprendolo un filo rosso di lana lo attraversa tutto. Attraverso piccoli fori il filo corre da una pagina all’altra, su e giù, per poi tornare all’inizio.
Nel secondo libro c’è un signore che fa ginnastica. Parte stando in piedi, si slancia di lato e fa una capriola, per poi ritrovarsi a testa in giù appoggiato sulle mani. Sfogliando il libro al contrario c’è lo stesso signore che invece fa una buffa caduta.
Il terzo libro è la storia di una bolla. Una piccola bolla azzurra che diventa sempre più grande fino ad ingoiare tutta la pagina. Quando tutto è diventato azzurro, nasce una nuova piccola bolla bianca che diventa sempre più grande fino ad ingoiare tutto di nuovo e poi si ricomincia da capo.
Il Libro 4 è colorato. Le pagine sono cartoncini di diverso spessore e colore.
Il Libro 5 è verde. Dentro ci sono delle formiche che si muovono e si affaccendano dietro ai loro lavori, ci sono anche dei buchi dai quali si possono vedere le formiche che si muovono da una stanza all' altra del formicaio.
Nel sesto libro ci sono delle forme colorate, gialle, blu e rosse. Tra una forma e l’altra c’è una pagina di plastica trasparente, colorata anche lei. Se si gira la pagina da una forma all’altra si possono vedere i colori cambiare.
Il settimo libro sembra fatto di spugna, è morbido e le pagine sono spesse. Il Libro 8 è ancora più morbido. È fatto di una stoffa color rosa acceso e con all’interno un bottone e un’asola, così che si possono abbottonare le pagine tra di loro. Il nono libro è fatto di tre tavolette di legno, legate con dello spago. Su ognuna ci sono delle scanalature che corrono in direzioni diverse. Il legno è liscio e profumato.
Il Libro 10 ha delle pagine di plastica rigida, è dentro è tutto grigio di nebbia. Si vede e non si vede, ma guardando bene è possibile trovare un gatto che dà la caccia ad un topino
L’undicesimo libro è fatto di plastica morbida e trasparente. Su ogni pagina c’è un solo pallino giallo, ma guardandolo da fuori puoi vedere che tutti i pallini gialli si dispongono in un cerchio, come a formare le ore di un orologio.
L’ultimo libro è fatto di stoffa e cartoncino e dento ci sono il giorno e la notte e dei buchi per vedere attraverso. Girando le pagine a volte la notte ingoia il giorno, a volte il giorno vince sul buio. E nel buio della notte, nel centro del libro, spunta un ciuffo di pelo morbido. Che sia la coda di un gatto?
Dunque quale il libro di ottica, quale quello di filosofia, di storia naturale? A noi scoprirlo e alla nostra immaginazione.
Fonti:
http://www.blogger.com/www.rossellagrenci.com/2010/08/i-libri-per-bambini-secondo-munari/ http://digilander.libero.it/sitographics/imagini_munari.htm http://www.arapacis.it/didattica/didattica_per_tutti/laboratori_metodo_bruno_munari_r_per_le_famiglie http://www.arapacis.it/didattica/didattica_per_tutti/laboratori_metodo_bruno_munari_r_per_le_famiglie http://www.officina-creativa.net/articoli/i-prelibri-di-bruno-munari.html http://www.railibro.rai.it/articoli.asp?id=82 http://www.tesionline.it/default/tesi.asp?idt=12473 http://www.spaziouno.org/2009/11/raccontando-munari-2-libri-illeggibili/ http://www.rossellagrenci.com/2010/11/11294/ http://www.rossellagrenci.com/2010/08/la-pedagogia-di-bruno-munari/ http://www.mondointasca.org/articolo.php?ida=8422&pag=3 http://www.sed.beniculturali.it/index.php?it/183/bruno-munari-la-polisensorialit-e-i-bambini Fonti immagini: http://www.corraini.it/scheda_libro.php?id=35 http://www.viveremarche.it/index.php?page=articolo&articolo_id=156535 http://www.spaziouno.org/2009/11/raccontando-munari-2-libri-illeggibili/




lunedì 28 novembre 2011

Olivetti

Lo Stile "Olivetti"

Lexikon 80, Lettera 22, Divisumma, Valentine, Quaderno… storie di prodotti che con l’eccellenza di tecnologia e design conquistano i mercati e trovano posto nei musei
Dobbiamo far bene le cose e farlo sapere”. Con queste parole Adriano Olivetti intendeva che l’impresa, oltre a ricercare l’eccellenza in tutte le attività, deve anche saper comunicare i suoi valori e costruire un’immagine che sia l’espressione veritiera della realtà aziendale. L’impresa può comunicare con il design di un prodotto, con l'architettura di una fabbrica, l’arredo di un negozio, la grafica di un poster, il testo o il disegno di una pubblicità… La bellezza dei prodotti, degli edifici, dei poster o dei messaggi pubblicitari nella tradizionale cultura Olivetti non ha un valore solo formale: la bellezza della forma comunica la realtà dell’azienda e perciò ha un valore sostanziale. Le scelte estetiche in tutte le aree di attività sono considerate importanti quanto le scelte tecnologiche o gestionali. Lo “stile Olivetti” nasce da questa cultura che permea ogni fase della vita aziendale, ma che affida al prodotto e al suo design un ruolo centrale. Quando in Italia ancora non esistono scuole per il design industriale, in Olivetti i designer sono già al lavoro. Designer che non si limitano a ricercare “un bel vestito” per una nuova macchina, ma che lavorano a stretto contatto con i progettisti per dare un senso e una giustificazione a ogni forma dal punto di vista comunicativo, funzionale, ergonomico. Ai designer si chiede di disegnare forme capaci di comunicare in modo immediato la funzione del prodotto; di facilitarne l’uso e di mettere l’utilizzatore a proprio agio, eliminando tutto ciò che è superfluo o ambiguo; di esprimere il carattere tecnologico del prodotto attraverso forme coerenti con lo stile e i valori del suo tempo. Il design delle macchine per ufficio meccaniche L’aspetto estetico dei prodotti era considerato molto importante già dal fondatore Camillo Olivetti, che nel 1912 scriveva: “la macchina per scrivere non deve essere un gingillo da salotto, con ornamenti di gusto discutibile, ma deve avere un aspetto serio ed elegante nello stesso tempo”. Negli anni ’30, con Adriano Olivetti, il design e la comunicazione acquistano un posto più rilevante ed esplicito nella gestione della Società. Adriano chiama in Olivetti scrittori, architetti, grafici e artisti che portano nuove idee e partecipano con larga autonomia a gruppi di lavoro interdisciplinari. I segni del cambiamento sono già visibili nella MP 1 (1932), una portatile che abbandona la forma monumentale delle prime macchina per scrivere per adottare una forma più appiattita e leggera. Con la Studio 42 (1935) la stretta collaborazione tra progettisti e designer inizia fin dalle prime fasi del progetto; si inaugura così un metodo di lavoro che verrà mantenuto anche in seguito. Negli anni ’50 l’eccellenza della tecnologia e del design consentono ai prodotti Olivetti di ottenere grandi successi sui mercati internazionali. Un ruolo primario è svolto da Marcello Nizzoli, architetto eclettico con una forte propensione alla comunicazione, che fin dal 1938 ha uno stretto rapporto di collaborazione con l’Olivetti. I prodotti di Nizzoli sono disegnati con uno stile improntato a una continua ricerca della massima funzionalità e sincerità espressiva; tra gli altri si ricordano le calcolatrici MC4 Summa (1940), Divisumma 24 e Tetractys(1956); le macchine per scrivere Lexikon 80 (1948) e Lettera 22 (1950). In particolare la Lexikon 80 rappresenta un punto di riferimento nella storia internazionale del design per le soluzioni rivoluzionarie adottate che integrano innovazione tecnologica ed eccellenza formale: i due pezzi del coperchio e della copertura combaciano perfettamente con linee morbide, realizzate grazie al nuovo processo di pressofusione, per cui la carrozzeria può essere studiata come un unico involucro da modellare. Anche la Lettera 22 entra molto presto nel mito della storia Olivetti. Questa continua ricerca nel campo del design ottiene numerosi riconoscimenti nazionali e internazionali. Il Museum of Modern Art (MOMA) di New York nel 1952 organizza per la prima volta una mostra di prodotti industriali e la dedica a “Olivetti: design in industry”. Dalla Lexikon 80 in poi sono una decina i prodotti Olivetti che entreranno a far parte delle collezioni permanenti del MOMA. Nel design delle macchine per scrivere elettriche la Praxis 48 (1963), disegnata da Ettore Sottsass, segna una svolta: la linea più squadrata sottolinea il valore tecnologico di uno strumento di lavoro, mentre la soluzione formale della tastiera a mensola rispetto alla scatola del corpo è frutto delle notevoli possibilità tecniche ed estetiche offerte dal sistema elettrico. Ben diversa è la soluzione che Sottsass propone per la Valentine (1969), la portatile rosso fuoco definita dal poeta Giovanni Giudici “una Lettera 32 travestita da sessantottina”. E’ il primo esempio di un prodotto per ufficio anticonformista e sorprendente, che precorre l’evoluzione del mondo del lavoro verso uno stile più informale. Con l’elettronica innovazione di prodotto e di design Con l’avvento dell’elettronica anche il lavoro del designer subisce dei cambiamenti: se con le macchine meccaniche la carrozzeria era la copertura di un meccanismo complesso (es. la Divisumma era costituita da 2000 pezzi di meccanica fine), con quelle elettroniche la libertà per il designer è maggiore, poiché i pezzi possono essere composti in maniera più libera. La sua funzione diventa realmente progettuale: tocca al designer trovare forme e soluzioni ergonomiche che soddisfino le attese e le esigenze del cliente. L’era dei prodotti elettronici si apre con l’Elea 9003 (1959), il primo grande elaboratore realizzato in Italia. Innovazione del prodotto e innovazione del design: Ettore Sottsass per soddisfare le esigenze di modularità e combinabilità di questo sistema complesso ricorre a una brillante soluzione di cablaggio aereo delle varie unità di elaborazione. La piccola elettronica Olivetti si inaugura con la Programma 101 (1965), il calcolatore da tavolo disegnato con grande eleganza e funzionalità da Mario Bellini. I modelli seguenti della stessa serie e il sistema per la raccolta dei dati TCV 250(1967) presentano linee continue date da una membrana elastica che si tende sui diversi volumi. Il 1973 è un anno di particolare innovazione nel design delle calcolatrici elettroniche, con la Divisumma 18 e la Logos 68, entrambe disegnate da Bellini. Per differenziarsi da altri prodotti anonimi, queste calcolatrici puntano su forme nuove: una particolare sezione triangolare per la Logos; l’insolito rivestimento in materiale gommoso, morbido al tatto, per la Divisumma. Negli anni ’80, con la crescente standardizzazione tecnologica dei prodotti, il design assume un ruolo ancora più vitale nella strategia aziendale: il design diventa mezzo di distinzione e garanzia dell’eccellenza del prodotto. Sul mercato la novità sono i personal computer. Per il primo PC Olivetti, l’M20 del 1982, lo studio Sottsass adotta una soluzione che integra tastiera, unità centrale e video in un unico corpo. Ma nei modelli successivi il design Olivetti deve piegarsi all’esigenza di componibilità dei PC, che impone la separazione dei tre componenti base. Nel campo dei notebook il design Olivetti dedica particolare attenzione all’ergonomia, come nel caso dell’M10 (1983) di Perry A. King e Antonio MacchiCassia, che offre un display a inclinazione variabile e tasti facilmente leggibili, e del Quaderno (1992) di Mario Bellinie Hagai Shvadron, il primo notebook in formato A5. Negli anni ’90 la tradizione del design Olivetti è mantenuta viva da Michele De Lucchi, a cui si devono i notebook delle serie Philos (1992) ed Echos (1993), oltre a numerose stampanti, fax, copiatrici e altre macchine multifunzionali, in prevalenza con tecnologia inkjet. Con De Lucchi il design Olivetti continua ad ottenere riconoscimenti, come testimoniano il Compasso d’oro assegnato alla stampante ArtJet 10 nel 2001 e l’IF Design Award attribuito al Cebit di Hannover nel 2000 a un prodotto multifunzionale, il JetLab 600.
FONTI:
FONTI IMMAGINI: